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MDS Agenzia Formativa

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Pubblicazioni

Aggiornamento del 18 Gennaio 2018 – a cura di dott.sa Valentina Balestri - MDS Impresa sociale Srl di Fauglia (Pi) – Patrocinio CISL FP – Segreteria Provinciale di Pisa (Pi)

 

Premessa

Il presente studio costituisce un aggiornamento ed un approfondimento della pubblicazione 'L'andamento occupazionale in Toscana ed in Provincia di Pisa – analisi dei fabbisogni formativi'. Tale studio era stato redatto ed aggiornato a cura della Fondazione 'Madonna del soccorso' ONLUS di Fauglia (Pi) fino all'anno 2016. Dal 1 Gennaio 2018 la detta Fondazione ha conferito il 'ramo d'azienda' formazione alla nuova MDS Impresa sociale Srl di Fauglia (Pi). La nuova MDS Impresa sociale che ha 'ereditato' il ramo d'azienda, nel mese di Gennaio 2018, ha provveduto ad approfondire ed aggiornare lo studio che – di seguito – vi presentiamo. In allegato si riporta anche la lettera della CISL FP di Pisa che ha condiviso le finalità, l'analisi e le conclusioni dello studio sui fabbisogni formativi.

 

Sviluppo e crescita del terzo settore

Risulta particolarmente importante analizzare, a cinque anni dalla stesura della prima edizione del presente studio, sia la correttezza delle previsioni svolte nell’anno 2012 sia il loro successivo sviluppo. All’uopo prendiamo spunto da un importante convegno svoltosi a Milano il 14 dicembre 2017 sul tema “Impresa sociale anno uno” dedicato ai cambiamenti dell’impresa sociale, alle prospettive dei nuovi modelli di business e alla narrazione di esperienze innovative di impresa sociale nel nostro Paese. Il Convegno è stato promosso dal Gruppo Cooperativo CGM e dal magazine VITA insieme a Social Impact Agenda per l’Italia Innovare per Includere, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e in partnership con il Gruppo Unipol. Il Gruppo Cooperativo CGM è stata la prima organizzazione del non profit in Italia a riconoscere l’ibridazione fra modelli economici come motore di una nuova fase di sviluppo e crescita dell’imprenditoria a matrice sociale. L’impresa sociale, infatti, unitamente alle altre formazioni del Terzo settore, oggi più che mai – soprattutto alla luce del Dlgs. 112/2017 - può giocare un ruolo sempre più decisivo per lo sviluppo creando innovazione e producendo occupazione.

L’interesse alla tematica, da noi gia ampiamente presto gia nella versione 2012 della presente pubblicazione, è emerso dalla constatazione che il fenomeno dell’imprenditoria sociale è in grande crescita in Italia. Sono infatti ben 92.799 i soggetti operanti in questo settore nel nostro Paese. Tra questi bisogna ricomprendere non solo le imprese sociali giuridicamente riconosciute, ovvero le cooperative sociali (quantificabili in 16.918 unità) e le imprese sociali ex lege (1.874), ma anche le organizzazioni non profit market oriented (11.940), le imprese for profit operanti nei settori dell’impresa sociale (61.776), le startup innovative a vocazione sociale (160) e le società benefit (131). Restringendo l’analisi alle sole cooperative sociali, che ai sensi della riforma citata sono ora riconosciute come imprese sociali di diritto, è interessante notare come queste fra il 2011 e il 2015 – cioè in un momento economico di grave criticità - siano aumentate del 30%, incrementando sensibilmente anche il numero di addetti: da 320.513 a 383.828 unità. Secondo la ricerca, oltre alla loro natura giuridica, gli elementi che incidono maggiormente e positivamente sulla sopravvivenza dei soggetti del terzo settore sono legati a una maggiore complessità organizzativa: maggiori risorse economiche e umane, radicamento sul territorio, lavoro con o per la Pubblica Amministrazione e forte orientamento per risposta al disagio. Merita evidenziare come l’economia sociale sia sicuramente uno dei fenomeni più interessanti nello scenario economico internazionale dell’ultimo decennio: un modello che si propone di armonizzare libero mercato e giustizia sociale, coniugando dimensione collettiva e ricerca del profitto, sostenibilità e capacità di attrarre investimenti. E se l’Italia, come dimostrano i dati presentati, sembra confermare questa dinamica, la stessa tendenza è osservabile anche a livello europeo, dove le imprese attive nel terzo settore sono oltre 3 milioni e i posti di lavoro generati da questo settore sono il 6,5% del totale UE.

In senso più ampio rileviamo, alla luce dei dati fornito dal primo Censimento nazionale sul no profit, che il Terzo settore cresce dell’11,6%. Secondo quanto espresso anche in un articolo di analisi apparso sul Corriere della Sera del 20 Dicembre 2017, possiamo affermare che – a differenza di altri ‘segmenti dell’economia’ - il non profit è sano e cresce. Positiva la fotografia che emerge dal Censimento (dati relativi al 31 dicembre 2015. Nel complesso si tratta di un settore florido che conta 336.275 istituzioni attive in Italia. Un dato in crescita dell’11,6% rispetto al 2011. In aumento anche il numero di volontari, complessivamente 5,5 milioni (+16,2%), e quello dei dipendenti, 788mila (+15,8%).

Passando dal dato nazionale all’analisi dei dati regionali emerge che la Lombardia ed il Lazio conquistano la ‘testa’ della classifica. Infatti, sul fronte della distribuzione territoriale, si conferma una elevata concentrazione di onlus nell’Italia settentrionale (171.419, pari al 51% del totale) rispetto al Centro (75.751, pari al 22,5%) e al Mezzogiorno (89.105, il 26,5%). La Lombardia e il Lazio sono sempre le regioni con la presenza più consistente di imprese non profit (con quote rispettivamente pari al 15,7 e al 9,2%), seguite da Veneto (8,9%), Piemonte (8,5%), Emilia-Romagna (8%) e Toscana (7,9%). Le regioni con la minore presenza di istituzioni sono la Valle d’Aosta (0,4%), il Molise (0,5%) e la Basilicata (1%).

La Regione Toscana dunque, se pur non prima in classifica, si assesta – con il suo quasi 8% - al sesto posto a livello nazionale. Andando ad analizzare i dati specifici emersi dal primo Rapporto sul terzo settore in Toscana redatto proprio nel 2017 secondo i dati del sistema informativo regionale sul Terzo settore, che raccoglie l’anagrafica delle organizzazioni iscritte ai registri regionali di volontariato e promozione sociale e all’albo regionale delle cooperative sociali, al 31/12/2016 risultano attivi oltre 6.400 soggetti: oltre 3.300 organizzazioni di volontariato (52% del totale), quasi 2.500 associazioni di promozione sociale (39%) e 581 cooperative sociali (9%).

Scendendo dal livello regionale a quello provinciale, sulla base delle organizzazioni iscritte ai registri/albo del Terzo settore in Toscana, risulta la seguente scala:

  • Arezzo 575;

  • Firenze 1.610;

  • Grosseto 402;

  • Livorno 603;

  • Lucca 758;

  • Massa Carrara 331;

  • Pisa 689;

  • Pistoia 560;

  • Prato 342;

  • Siena 569;

  • Toscana 581.

La diffusione complessiva del Terzo settore formalizzato in Toscana è di oltre 17 organizzazioni ogni 10 mila residenti. L’analisi dell’andamento temporale mostra in maniera chiara la continua crescita sia a livello generale che in ognuna delle sue componenti. A livello di incidenza occupazionale e di settore di intervento, in valori assoluti, risultano le seguenti percentuali di impiego ed impegno:

  • Patologie varie 33%;

  • Salute mentale 19%;

  • Alcolismo 18%;

  • Tossicodipendenze 5%;

  • Sieropositivi - Aids 3%;

  • Altro 22%.

Rileviamo, infine, che le cooperative sociali rappresentano la parte numericamente meno consistente ma sicuramente quella più strutturata/professionalizzata e a più elevato protagonismo all’interno del Terzo settore formalizzato, in quanto maggiormente coinvolta nell’erogazione diretta di servizi sociali e socio-sanitari (complice il crescente processo di esternalizzazione della gestione di servizi da parte dei soggetti pubblici gia evidenziata anche in altre parti della presente pubblicazione).

In conclusione di questa prima sezione dobbiamo riscontrare la piena e lucida correttezza delle analisi e previsioni di sviluppo socio-economico svolte nell’anno 2012 nella prima edizione della presente analisi dei fabbisogni e, secondariamente, la conferma dello sviluppo del terzo settore quale ‘segmento strategico’ del processo di sviluppo territoriale e nazionale del settore socio-economico. Dunque, sulla base di tali dati sarà interessante trovare i risvolti – in termini di fabbisogni formativi – del processo previsto e nuovamente analizzato nella presente sezione.

 

Relazione tra terzo settore e servizi socio-sanitari: luci ed ambre

Sulla base degli studi sopra riportati risulta che le cooperative sociali di tipo A, impegnate – in Toscana - nel settore socio-sanitario e educativo sono la metà del totale mentre quelle di tipo B, che si occupano di integrazione lavorativa di soggetti svantaggiati sono il 40%. Il restante 10% riguarda le cooperative sociali di tipo C, ovvero consorzi di cooperative, e la tipologia A+B. A seguito di quanto sopra osservato e riprendendo anche tratti di un articolo scritto dal dott. Guido Franchi Scarselli, dobbiamo rilevare che vi è una stretta connessione tra il Terzo settore e l’area dei servizi socio-sanitari disciplinati, nella Regione Toscana dalla LRT 41/2005. La normativa regionale, d’altra parte, gia all’art. 17 della LRT 41/2005 stabiliva, in maniera lungimirante, che: ‘Nel rispetto del principio della sussidiarietà, la Regione e gli enti locali riconoscono la rilevanza sociale dell'attività svolta dai soggetti del terzo settore e, nell'ambito delle risorse disponibili, promuovono azioni per il loro sostegno e qualificazione. 2. Ai fini della presente legge si considerano soggetti del terzo settore: a) le organizzazioni di volontariato; b) le associazioni e gli enti di promozione sociale; c) le cooperative sociali; d) le fondazioni; e) gli enti di patronato; f) gli enti ausiliari di cui alla legge regionale 11 agosto 1993, n. 54 (Istituzione dell'albo regionale degli enti ausiliari che gestiscono sedi operative per la riabilitazione e il reinserimento dei soggetti tossicodipendenti. Criteri e procedure per l'iscrizione); g) gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese; h) gli altri soggetti privati non a scopo di lucro.

I soggetti di cui al comma 2 concorrono, secondo quanto previsto dagli articoli 28 e 30 , ai processi di programmazione regionale e locale. Tali soggetti, ciascuno secondo le proprie specificità, partecipano altresì alla progettazione, attuazione ed erogazione degli interventi e dei servizi del sistema integrato ai sensi di quanto previsto dalla normativa vigente.

La Regione e gli enti locali sostengono le attività del volontariato anche attraverso la collaborazione con i centri di servizio costituiti ai sensi dell' articolo 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge quadro sul volontariato)’.

Per prima cosa osserviamo come – causa anche la crisi finanziaria che, da ormai un quinquennio, sta colpendo il Paese non abbia potuto mancare di incidere anche su questi rapporti - l’ordinamento istituzionale sembra peraltro faticare a sostenere la crescente richiesta di servizio affidandosi in maniera sempre prevalente ad organismi del terzo settore non potendo contare su ampia disponibilità di risorse pubbliche a loro destinati. In questa prospettiva trova piena attuazione l’intervento del legislatore finalizzato a dare un nuovo ed unitario quadro organizzativo al terzo settore mediante gli interventi dei Decreto legislativi 112/2017 e 117/2017 rispettivamente dedicati all’impresa sociale ed alla riforma del terzo settore che vanno a superare l’impostazione e la disciplina degli anni ’90, sul volontariato, la cooperazione sociale, le onlus e le associazioni di promozione sociale che lo hanno fondato e tuttora lo compongono. E’ da notare che le stessa normative nazionali e regionali avevano gia previsto una larga partecipazione del terzo settore nel campo dei servizi sociali e socio-sanitari indicando una linea programmatica cui la recente riforma rappresenta, anche alla luce delle contingenze attuali, la piena ed ultima attuazione.

All’interno di questa espansione dell’ambito di operatività del terzo settore non possiamo non indicare, per correttezza, anche alcune criticità specifiche. In particolare, vogliamo riflettere sugli aspetti più direttamente legati ai rapporti fra Terzo settore e servizi sociali in generale e socio-sanitari in specifico, i quali conducono sia pure per altra via al medesimo risultato di lasciare, di questi tempi, risultar comodo non metter mano a un loro esame critico, ma eventualmente ‘piegarli’ a nuove esigenze (come chiariremo subito più sotto); sostenere che lo stato di sofferenza di queste relazioni, che inevitabilmente si ripercuote sulla qualità dei suddetti sistemi di protezione sociale e le condizioni di impiego di coloro che vi operano o si sono comunque formati nell’aspettativa di operarvi, deriva dalla corrente penuria di risorse pubbliche e quindi dal decremento dei trasferimenti statali - che pure rimane ostacolo centrale - significa infatti non considerare che la struttura di quei servizi è mutata considerevolmente nell’ultimo ventennio, a ben vedere non troppo meno di quanto sia variata quella dei servizi sanitari e pubblici locali di natura industriale (la cui gestione è transitata dalle tante e piccole aziende municipalizzate alle grandi e poche società multiservizi non certo solo per capriccio del Legislatore). Ed in effetti, un’analoga spinta all’aziendalizzazione ed espansione la stanno intraprendendo anche le associazioni di promozione sociale e le cooperative sociali più attrezzate, ma ciò non fa che riproporre con maggiore intensità l’interrogativo sulla compatibilità di questo nuovo fattuale assetto alla permanenza formale dei caratteri del Terzo settore tracciati dall’ordinamento negli anni novanta, che agganciavano la protezione legale di quei soggetti a degli elementi organizzativi che oggi, indipendentemente dalla crisi dell’intero Paese, ci sembrano sovente scomparsi e forse nemmeno ricercati perché sostituiti, in breve, da quelli coerenti a gestioni non solo esercitate da imprese aventi una dimensione latamente incompatibile a garantirne un’amministrazione effettivamente ‘democratica’1, ma altresì sempre più radicalmente proiettate a logiche operative di tipo aziendale, facilmente indifferenti agli originari legami territoriali e annessi capitali sociali; la cui maggiore efficienza si accompagna cioè inevitabilmente alla riduzione dei caratteri che le differenziavano dalle società cooperative ex art. 2511 c.c. se non anche, potrebbe dirsi per certi versi, da quelle tout court d’azioni (Tratto da articolo di Guido Franchi Scarselli).

 

Fabbisogni formativi specifici

Calando la riflessione dall’analisi dei dati e dell’andamento micro e macro economico ed occupazionale e di sviluppo dei vari settori dobbiamo mettere in evidenza quanto fosse stata corretta e giusta la previsione contenuta alla lettera b) del Cap. X della prima edizione della presente pubblicazione redatta nell’anno 2012. In essa, infatti, si affermava gia – con certo anticipo – la necessità di predisporre un’adeguata offerta formativa di qualità destinata a soddisfare i bisogni formativi crescenti del terzo settore e degli addetti ai servizi alla persona. In questa sede confermiamo questa rilevata esigenza di servizi formativi aggiungendovi anche l’ulteriore istanza di formazione ed aggiornamento sulla nuova disciplina globale del settore che con i recenti decreti legislativi (Soprattutto i DLGS 112/17 e 117/17) è stata radicalmente e profondamente riformata e modificata lasciando non pochi elementi di ambiguità che, con i rispettivi decreti attuativi, il legislatore dovrà necessariamente colmare. In questa prospettiva si inserisce la necessità di incrementare un’offerta formativa qualificata sia diretta ai manager e quadri delle imprese e realtà del terzo settore cui anche la Regione Toscana ha cercato di dare risposta con i recenti avvisi (Voucher per manager d’azienda e similari) sia diretta a qualificare il profilo professionale degli addetti ai vari servizi.

Altro elemento particolarmente qualificante dell’analisi che – come il precedente – era stato gia previsto nella pubblicazione stessa nell’anno 2012 di cui questa riflessione rappresenta l’aggiornamento e che consiste nell’indicazione contenuta nel punto d) del Capitolo X dell’allora versione dello studio nel quale si evidenziava la necessità di un maggior raccordo tra l’aspetto formativo e quello lavorativo con la finalità di calare la formazione in relazione ai bisogni specifici dei vari settori rendendo gli studenti altamente qualificati e preparati ad affrontare il ‘mondo del lavoro’. Anche a questa necessità il legislatore – in questi anni – ha messo mano rendendo pienamente operativo, anche alla luce della legge sulla buona scuola, i piani di alternanza scuola-lavoro che, pur con alcune criticità, rispondono pienamente a questa esigenza. In particolare, in questa prospettiva, rileviamo che nel nostro Paese, la collaborazione formativa tra scuola e mondo del lavoro si è rafforzata ed ha registrato in tempi recenti importanti sviluppi in due direzioni: - il potenziamento dell’offerta formativa in alternanza scuola lavoro, previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107; - la valorizzazione dell’apprendistato finalizzato all’acquisizione di un diploma di istruzione secondaria superiore, in base alle novità introdotte dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, attuativo del JOBS ACT. Alla luce della presente analisi si confermano tali previsioni apprezzando l’intervento legislativo intervenuto. Tale meccanismo è da riproporsi non soltanto nel rapporto dialettico tra istituzioni scolastiche e mondo del lavoro ma merita di essere approfondita anche nella logica dell’organizzazione dei percorsi formativi professionalizzanti, almeno sotto l’aspetto qualitativo. Il cambiamento di prospettiva ha permeato, negli ultimi anni, tutti gli ambienti formativi. Basta, infatti leggere l’introduzione alla Guida operativa per l’alternanza scuola-lavoro approvata dal MIUR nel 2015 per comprendere come, anche in ambiente scolastico, il cambiamento di prospettiva è stato profondo e forte: ‘La diffusione di forme di apprendimento basato sul lavoro di alta qualità è al cuore delle più recenti indicazioni europee in materia di istruzione e formazione ed è uno dei pilastri della strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva (Comunicazione della Commissione [COM (2010) 2020]) fin dal suo lancio nel 2010 e si è tradotta nel programma “Istruzione e Formazione 2020” (2009/C119/02). Negli ultimi anni, la focalizzazione sulle priorità dell’istruzione e della formazione è ulteriormente cresciuta, anche per il pesante impatto della crisi economica sull’occupazione giovanile. Poiché la domanda di abilità e competenze di livello superiore nel 2020 si prevede crescerà ulteriormente, i sistemi di istruzione devono impegnarsi ad innalzare gli standard di qualità e il livello dei risultati di apprendimento per rispondere adeguatamente al bisogno di competenze e consentire ai giovani di inserirsi con successo nel mondo del lavoro. La missione generale dell'istruzione e della formazione comprende obiettivi quali la cittadinanza attiva, lo sviluppo personale e il benessere, ma richiede anche che siano promosse le abilità trasversali, tra cui quelle digitali, necessarie affinché i giovani possano costruire nuovi percorsi di vita e lavoro, anche auto-imprenditivi, fondati su uno spirito pro-attivo, flessibile ai cambiamenti del mercato del lavoro, cui sempre più inevitabilmente dovranno far fronte nell'arco della loro carriera. Nella prospettiva europea questi obiettivi sono indissociabili dall’esigenza di migliorare le abilità funzionali all'occupabilità e alla mobilità sociale, in un’ottica di sempre maggiore inclusività dei sistemi di istruzione e formazione’.

Infine, vogliamo confermare l’ultima previsione gia presente nella versione originale del presente studio e poi oggetto di interventi normativi propri del legislatore. Stiamo parlando dell’importanza di investire sullo sviluppo degli aspetti imprenditoriali e di innovatività. In questa prospettiva si apprezza lo sforzo realizzato in questi anni sia dal Governo con il Piano Industria (Poi Impresa) 4.0 nonché dalla Regione Toscana con le Decisioni di Giunta Regionale n. 20/2016, 9 e 10/2017 nonché con le Delibere nn. 37 e 157/2017. Interessanti le riflessioni emergenti in sede programmatica nell’Allegato ‘A’ alla Decisione 9/2017 della Regione Toscana che vogliamo riportare di seguito e fare nostre:

Alcune delle raccomandazioni formulate in esito alle più recenti ricerche confermano la correttezza delle linee fondamentali delle politiche regionali in materia di formazione e del loro stretto raccordo con le politiche del lavoro e le politiche in materia di attività produttive e competitività delle imprese:

gli sforzi volti a colmare i divari di competenze devono essere declinati territorialmente; • occorre fare uso di analisi dei dati: il ruolo dei dati previsionali dovrà essere centrale nella pianificazione della forza lavoro; • la necessità di riqualificazione dell’intera forza lavoro esistente lungo tutto l’arco della vita richiede che i governi e le aziende collaborino di più, per garantire che le persone abbiano il tempo, la motivazione e mezzi per cercare opportunità di riqualificazione; • la collaborazione tra imprese e tra pubblico e privato è resa necessaria dalla complessità della gestione del cambiamento; • il rafforzamento del sistema duale può contribuire ad adattare i sistemi formativi all’evoluzione dei sistemi di produzione; • gli standard relativi alle competenze e alle qualifiche devono essere adattati alle nuove richieste del mercato del lavoro; • le nuove tecnologie possono essere utilizzate per incrementare l’accesso ed elevare la qualità della formazione, attraverso corsi online e nuovi strumenti didattici; • gli esercizi di foresight tecnologico, ossia l’elaborazione collettiva, a partire dall’analisi delle informazioni, di visioni sul futuro a medio e lungo termine, possono orientare le decisioni del presente e contribuire a mobilitare tutte le forze necessarie; • la gamma delle questioni rilevanti per i processi di digitalizzazione delle imprese e per le conseguenti ricadute sociali richiede un coordinamento tra politiche diverse’. Ed ancora: ‘affinché le imprese toscane colgano le opportunità offerte da Industria 4.0, occorrono azioni preliminari di informazione, sensibilizzazione e formazione, che forniscano rappresentazioni applicative delle singole tecnologie abilitanti, illustrandone la concreta utilità e il contributo che ciascuna di esse può offrire – nel medio e nel lungo periodo - per rispondere ai bisogni e agli obiettivi delle imprese, nei loro percorsi di digitalizzazione, di integrazione delle risorse produttive, di personalizzazione dell’offerta e di innovazione dei modelli di business: saranno finanziati percorsi di formazione, anche a voucher, per la partecipazione degli imprenditori e dei manager d’azienda a percorsi formativi di sensibilizzazione e informazione sulle innovazioni necessarie per competere nell'economia digitale, quali ad esempio corsi che forniscano una visione ampia e strategica del ruolo delle tecnologie digitali nelle imprese, corsi che forniscano una panoramica sulle principali tecnologie digitali e sulle relative soluzioni applicative, corsi che consentano la definizione di strategie per la messa in atto di un processo di digitalizzazione’. Per poi concludere con una necessità stringente anche di revisione della disciplina regionale: ‘Una prima azione di sistema a livello regionale sarà realizzata attraverso una revisione e un aggiornamento del Repertorio regionale dei profili professionali. Il Repertorio regionale è un’architettura di sistema che, a norma del D.lgs. 13/2013, costituisce il riferimento formale per i processi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze. I profili professionali rappresentano i riferimenti per il rilascio degli attestati di qualificazione professionale, rispetto ai quali vengono promosse le azioni formative, di orientamento per l’attivazione dei tirocini, nonché gli elementi formalizzati rispetto ai quali i cittadini possono richiedere la certificazione delle competenze acquisite in ambito formale, non formale e informale. È quindi necessario che tali profili siano sempre aggiornati rispetto alle esigenze del mercato del lavoro, in maniera tale da costituire il fondamento di una programmazione dell’offerta formativa rispondente alle richieste del mondo produttivo. Saranno ridefiniti i contenuti obsoleti di figure professionali presenti nel Repertorio, aggiornandoli rispetto ai contenuti professionali definiti a livello comunitario, e saranno approvati nuovi profili professionali, in grado di rispondere alla richiesta di innovazione e digitalizzazione delle imprese del territorio. L’intervento riguarderà sia figure tecniche proprie della filiera ICT, sia figure di sistema o figure richieste dalla singole filiere strategiche, che possano contribuire a diffondere presso le imprese toscane opportunità e conoscenze necessarie ad attivare la spinta verso la digitalizzazione dei processi produttivi’.

In questa prospettiva, la cui validità confermiamo anche nel presente studio, merita rilevare la necessità stringente di passare – anche in relazione a questo aspetto - da una impostazione ancora molto teorica ad una più concreta e pratico-operativa che vada a fornire tutti gli addetti ai vari settori gli strumenti essenziali per non subire bensì per rendersi protagonisti della quarta rivoluzione industriale in atto.

Per concludere possiamo rilevare che i principali fabbisogni formativi rilevati nel presente studio attengono principalmente alle seguenti esigenze:

  1. Esigenza di soddisfare i bisogni formativi crescenti del terzo settore e degli addetti ai servizi alla persona sia sul piano professionale generale che qualificato;

  2. Necessità di realizzare un maggior raccordo tra l’aspetto formativo e quello lavorativo con la finalità di calare la formazione in relazione ai bisogni specifici dei vari settori rendendo gli studenti altamente qualificati e preparati ad affrontare il ‘mondo del lavoro’, processo che non deve riguardare esclusivamente il rapporto dialettico scuola-lavoro ma anche quello tra formazione e mondo del lavoro;

  3. Importanza di investire sullo sviluppo degli aspetti imprenditoriali e di innovatività ad ogni livello operativo, da quello base fino agli occupati ai livelli dirigenziali.

Per correttezza ed alla luce di quanto sopra esposto emerge attualmente un dato di indubitabile novità rispetto al contesto dell’anno 2012 rappresentato dalla consapevolezza maturata nelle istituzioni delle esigenze nonché – e soprattutto – anche degli strumenti necessari ad affrontare i bisogni.

In attesa di assistere allo sviluppo del settore economico-occupazionale in relazione allo studio fatto ci confortiamo per le corrette previsioni sempre avanzate nelle nostre analisi e confermate anche dalle organizzazioni sindacali oltrechè dai dati economici.